La Basilicata nel 2016: export, mercato del lavoro, credito, natalità imprenditoriale. Previsioni e considerazioni per il 2017.

Considerazioni di sintesi

Le considerazioni svolte consegnano un quadro a metà tra tendenza al miglioramento ed elementi di ancora viva preoccupazione. Quella che si presenta nel 2017 è una Basilicata in chiaroscuro, che somma elementi di moderato ottimismo a forti criticità ed elementi preoccupanti, allocati nella dimensione del lavoro, della demografia, della sua economia più in generale.

Nel complesso, i riscontri presentati offrono un quadro che vede, a partire dalla seconda metà del 2014, una moderata inversione del trend recessivo, ma la tendenza al miglioramento va guardata in chiave più ampia e comprensiva dei tanti indicatori che ci restituiscono lo stato di salute dell’economia e della società regionale.

I segnali positivi sono senza dubbio da cogliere con riferimento alla dinamica occupazionale, quella che presenta segnali incoraggianti e tendenzialmente si avvicina ai livelli occupazionali pre-crisi. Tuttavia disaggregando il dato si colgono sfumature e aspetti che non lasciano presagire una vera e propria fuoriuscita. Probabilmente è eccessivo parlare ancora di crisi ma certamente di importanti segnali di sofferenza sì e la strada per recuperare i posti andati persi appare ancora lunga.

Nel dettaglio poi saltano agli occhi alcuni valori molto stridenti con la tendenza del Mezzogiorno e nazionale, valori che giudichiamo con qualche punta di apprensione. In particolare a fronte di un aumento dell’occupazione dipendente pari al +0,7% si riscontra una occupazione indipendente pari a +5,1% tra il 2015 e il 2016 (tabella 13). Nello stesso arco temporale i lavoratori dipendenti crescono nel Mezzogiorno del +2,3% e diminuiscono gli indipendenti del -0,1%; in Italia i primi crescono del +1,9% e i secondi flettono lievemente del -0,5%.

Ancora nello stesso periodo considerato il lavoro a tempo parziale in Basilicata aumenta del 13,7% ed anche questo si configura come dato anomalo a confronto con il +4,9% del Mezzogiorno e il +2,6% della media italiana. Un altro dato da segnalare con attenzione è la forte differenza nella dinamica tra le province di Potenza e Matera, sostanzialmente ferma nella prima e molto più positiva nella seconda, attestata tra industria, agricoltura e commercio. In termini assoluti parliamo di circa 1500 unità in agricoltura, 1500 nell’industria in senso stretto e un migliaio tra alberghi e commercio (tabella 13).

Per tentare una prima interpretazione, cosa ci dicono questi numeri? Certo, ribadiamo, ogni aumento del saldo occupazionale è da guardare in positivo. Ma sono troppe le differenze tra lavoro dipendente e indipendente e tra lavori standard e tempi parziali per poter essere sereni. Riteniamo che la gran parte di queste posizioni risiedano in gran parte in agricoltura, ma soprattutto si tratti di una reazione alla perdita di lavoro avuta nel corso degli ultimi anni: crescono attività individuali, cresce un po’ il commercio al dettaglio (bar, pizzerie, studi tecnici e commerciali); si riflette un po’ il ritmo di spesa più sostenuto nella coda dei finanziamenti europei nel periodo 2007-2013. E tutto questo andrebbe visto in un periodo medio-lungo, essendoci purtroppo abituati a repentini sbalzi statistici in una regione in cui pochi numeri potrebbero fare una percentuale oltre il decimale.

A questi aspetti bisogna aggiungere l’alto tasso di pendolarismo, già riscontrato per il 2015 ed in aumento nel 2016. In questo caso i dati sono relativi al terzo trimestre 2016, allorquando gli occupati in regione erano 190975. Tra questi 130688 lavoravano nel comune di residenza, 46698 lavoravano in un altro comune della provincia di residenza, 3419 lavoravano in un’altra provincia della regione, 5520 lavoravano in altre regioni del Mezzogiorno, 4239 lavoravano in altre regioni del Centro-Nord, 412 lavoravano all’estero. In totale 10171 lucani lavoravano fuori regione ed è questo un indizio di una certa difficoltà, da parte del sistema produttivo locale, a creare occasioni di lavoro relativamente qualificate, specie se l’82% di questi sono laureati e diplomati. I flussi di pendolarismo verso le regioni del Centro-Nord che coinvolgono una quota non piccola di lavoratori regionali, istruiti e alla ricerca di posizioni stabili, ci dicono che il sistema produttivo locale fatica a produrre “buona occupazione”.

Riservandoci una finestra specifica per l’occupazione giovanile, con concentriamo sugli altri elementi che destano preoccupazione.

Con riferimento all’export (cui si rimanda alle specifiche informazioni contenute nel paragrafo 2 del presente lavoro) si sostiene in sintesi che la gran parte del valore delle esportazioni è riferibile negli ultimi due anni (2015 e 2016) alle performance del settore dell’automotive (70% circa). Laddove si evidenzia una dinamica relativa alla presenza di imprese a partecipazione estera ed a segmenti di produzione a cosiddetta domanda dinamica (quelle che inglobano la gran parte delle competenze formali e di capitale umano secondo ISTAT), si nota di contro una diminuzione dei fatturati ed una scarsa capacità diffusiva di competenze e progettualità nelle imprese presenti sul territorio circostante. Relativamente a ciò, per fare un esempio, la capacità di andare sui mercati esteri da parte del sistema produttivo locale è di fatto sostenuta dall’unico impianto dell’automotive presente; troppo poco in un’era caratterizzata da una marcata globalizzazione e da un’organizzazione produttiva sempre più incentrata sulle catene globali del lavoro transazionali. In questo contesto, le policy possono giocare un ruolo di fondamentale importanza, specie se dirette a rafforzare i punti di maggiore competitività del sistema locale, sia intervenendo su realtà già esistenti, e da questo punto di vista l’esperienza di Melfi è emblematica, che favorendo la nascita di attività coerenti con un paese e un territorio che non può basare (solamente) la propria competitività su elementi quali il costo del lavoro, ma su innovatività e capitale umano qualificato. Da qui sarebbe utile aprire una riflessione approfondita sulla funzione e sulle linee progettuali che realtà vocate alla ricerca e sviluppo (come ad esempio il campus FCA) riescono ad avere nei contesti di operatività.

I dati in ripresa della demografia d’impresa accendono qualche speranza cui si contrappongono le preoccupazioni per l’ulteriore razionamento del credito a disposizione degli operatori, elementi critici ancora in grado di ostacolare una ripresa robusta. Dopo il 2015 riprende il processo di restringimento del credito, dove si registra un aumento per consumi interni molto probabilmente alle sole famiglie consumatrici (+0,4%); mentre si registra un -6,5% alle cosiddette famiglie produttrici (piccoli artigiani e attività assimilabili); -3,1% alle società non finanziarie (società private dell’industria e dei servizi). Un ulteriore e consistente calo si registra nel credito alla pubblica amministrazione (-7,7%). Sono questi ulteriori indizi di come la parte prevalente del sistema produttivo locale sia ancora interessata da volumi di attività modesti e da condizioni operative non ottimali, ancora al di sotto dei livelli pre-crisi; in particolare se si considerano le non eccessive performance del settore edilizio e delle costruzioni e se si tiene presente che gran parte della capacità propulsiva nelle regioni del Mezzogiorno dipendono ancora dalla capacità di spesa delle pubbliche amministrazioni.

Per tornare infine all’aspetto occupazionale con riferimento alla componente giovanile, restano a nostro giudizio importanti segnali preoccupanti e suggeriamo di leggere questo dato con quello relativo ai depressivi riscontri ricavabili dagli indici demografici per tutto il 2016.

Pur con alcuni primi segnali di miglioramento, l’occupazione giovanile si conferma come uno degli aspetti maggiormente problematici sia in riferimento al tasso di disoccupazione giovanile (tabelle 5-7 e 12-17), attestato su valori tuttora assai levati, che riguardo la componente dei c.d. Neet nella quale vi è ricompresa circa un giovane lucano su tre. La moderata ripresa degli ultimi due anni ha determinato una lieve flessione del Neet rate attestatosi nel 2016 a livello nazionale (26,0%). Neet rate in diminuzione anche al Sud di circa un punto (38,4% nel 2015 e 37,5% nel 2016) e, in misura più accentuata, anche in Basilicata (30.7% vs. il 32,6% del 2015) (v. Tab. 16). Resta comunque il dato che, in regione, quasi un terzo dei giovani under 35 non lavora pur essendo completamente fuori dal sistema formativo, ponendo le basi per fenomeni sociali assai negativi (esclusione, povertà). Appare questo un segmento che dovrebbe essere oggetto di specifiche policy, più incisive rispetto al passato. Un ulteriore elemento di preoccupazione è costituito dal fatto che la condizione di Neet, generalmente prevalente tra i meno istruiti, si è diffusa nella crisi ai giovani con titoli di studio elevati: la quota di diplomati e laureati sul totale è passata, in regione, da circa il 50% del 2008 al 70% nel 2016 (v. Tab. 17).

Per quanto riguarda la disoccupazione nella fascia 15-24 anni, nel 2016, il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è sceso decisamente passando al 34,2% dal 47,7% dell’anno precedente e collocandosi su livelli più vicini a quelli del Centro-Nord (29,9%) che a quelli del Mezzogiorno (51,7%) (v. Tab.15).

Ma qui solleviamo un dubbio, o quantomeno una annotazione problematica, con riferimento agli indici demografici. Non si vuole stabilire una corrispondenza totale tra il calo della disoccupazione giovanile e l’aumento dei giovani che vanno via dalla regione, ma certamente una influenza di questo aspetto sui valori generali presentati è ragionevolmente supportata dai numeri.

Al 1° gennaio 2017 i residenti in Basilicata sono 570,4. Come si vede dalla Tab. 22, rispetto al 2016 la popolazione si riduce di più di 3.000 unità. Nelle restanti regioni ad intensa riduzione di popolazione, si è in presenza di un quadro progressivamente caratterizzato dalla decrescita che va dal Veneto (-1,9), al 2 per mille della Puglia, al 3 per mille della Campania, alla Basilicata (-5,7 per mille), primato negativo. A ciò si aggiunga l’aumento dell’indice di dipendenza strutturale, dell’età media elevata e dell’indice di invecchiamento (pari al 181%) e si può vedere come si sia in presenza di un continuo svuotamento delle coorti più giovani di forze lavoro.

Aspetti questi che non sono più bilanciati, come pure è apparso in tendenza negli anni precedenti, dall’ingresso di stranieri che al 31 dicembre 2016 sono circa 19mila, di cui la gran parte provenienti dalla Romania (8550), dall’Albania (1500 circa), dal Marocco (1500 circa). Fenomeno, anch’esso, che andrebbe ulteriormente studiato e collocato in una dimensione socio-economica e lavorativa da cui far scaturire scelte, politiche e strategie per la Basilicata del 2017.

In definitiva possiamo affermare che quella che si presenta nel 2017 è una Basilicata in chiaroscuro. La capacità di reazione individuale, che noi segnaliamo con riguardo all’aumento dell’occupazione indipendente a fronte di una stazionarietà di quella dipendente, va letta nel lungo periodo e ci segnala di una comunità regionale che, per dirla con uno slogan, non demorde ma non morde. Possiamo in qualche modo superare la retorica della crisi, nell’ottica di un superamento della sua fase più acuta che riguarda l’economia italiana ed europea, ma nello stesso tempo sarebbe sbagliato sostenere che ci si trovi in presenza di una ripartenza, restando ancora numerosi segnali di sofferenza e di acuta difficoltà sociale.

In questo quadro c’è una popolazione giovanile che vede sempre più collocato fuori regione il proprio orizzonte lavorativo ed il proprio progetto di vita. In questa componente pensiamo si possa parlare di uno spirito di accettazione prevalente sulla rassegnazione, vedendo nell’emigrazione non più come una incognita ma come un naturale prezzo da pagare.

Nella perdurante difficoltà demografica e dello spopolamento sempre più in aumento, le strategie per la Basilicata dovrebbero contemperare un giusto mix tra attacco e difesa. Una regione che gioca in attacco e prova ad affrontare con decisione alcune esigenze di prospettiva: il rafforzamento dei punti di maggiore competitività territoriale (FCA, Val d’Agri, etc.); il rafforzamento della proiezione estera delle imprese presenti (essendo la gran parte dell’export ancora o quasi esclusivamente imputabile all’automotive); una riflessione sui centri di ricerca e sviluppo come il campus FCA, mettendo gli stessi in grado di fornire un supporto di definizione strategica nei processi e nei prodotti e provando ad elevare gli standard di competitività territoriale. In sostanza ciò che si studia sul posto non può alimentare soltanto imprese pronte ad accogliere innovazione che stanno fuori regione. Da questo punto di vista l’esperienza di Melfi è emblematica, che favorendo la nascita di attività coerenti con un paese e un territorio che non può basare (solamente) la propria competitività su elementi quali il costo del lavoro, ma su innovatività e capitale umano qualificato.

La Basilicata che gioca in difesa è la regione che prova a mantenere un modello sociale di coesione e protezione dal bisogno, specie in una fase storica che la vede sempre più invecchiare e vede in netto aumento l’indice di dipendenza strutturale (cioè la crescita delle fasce 0-14 anni e 65 anni e oltre sul totale della popolazione in età da lavoro), mediante processi di qualificazione delle politiche di cura della persona, mediante processi di riorganizzazione del sistema sanitario e la preferenza per politiche di “prevenzione” e “prossimità”, mediante processi di infrastrutturazione delle maglie sociali e del supporto alla maternità. Infine mediante politiche non di sola accoglienza degli stranieri e dei richiedenti asilo, ma attraverso strategie di integrazione e inserimento lavorativo di fasce sempre più importanti di giovani provenienti da altre parti del pianeta, più sfortunate della nostra.

Scarica i contenuti della conferenza stampa: