L’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati in Basilicata: cosa hanno prodotto cinque anni di emergenze e “doppi binari”

di Donato Di Sanzo e Giovanni Ferrarese

 

Il “doppio binario” come soluzione ricorrente: un quadro storico nell’Italia delle emergenze

 

Il Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2014 ha recentemente comunicato che, a fronte delle pur attendibili stime empiriche che quantificano a più di 170.000 le persone sbarcate nell’anno solare[1], al 30 giugno dello scorso anno 65.456 migranti, la quasi totalità richiedenti asilo, avevano raggiunto le coste italiane attraverso 456 eventi di sbarco[2]. Tali cifre – soprattutto all’indomani di eventi tragici come il naufragio dello scorso 18 aprile che è costato la vita a più di settecento persone – hanno riacceso il già vivo dibattito sulle possibilità e sulle opportunità dell’accoglienza di immigrati richiedenti protezione internazionale nei territori italiani. La discussione, spesso penalizzata da esigenze di brevità giornalistica e di propaganda politica, verte sulla capacità ricettiva dell’Italia, anche considerando il fatto che la capienza del sistema ordinario di accoglienza, integrazione e tutela di richiedenti asilo e rifugiati – appunto il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (S.P.R.A.R.) gestito dal Servizio Centrale del Ministero dell’Interno, la cui operatività è uniformata al rispetto di elevati standard qualitativi nell’offerta di servizi relativi all’accoglienza, all’integrazione e alla tutela dei beneficiari[3] – ammonti a 20.744 posti di accoglienza per il 2014,  ben aldilà del numero di arrivi nel solo primo semestre dell’anno[4]. Proprio per far fronte alla momentanea saturazione dello S.P.R.A.R., nonostante i diversi appelli provenienti dal terzo settore per l’ampliamento della capacità del sistema, il governo ha istituito, con la circolare n. 2204 del 19 marzo 2014, i Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS), strutture ricettive individuate dalle prefetture in base a una convenzione stipulata con soggetti gestori di varia natura (associazioni, società, cooperative, ma anche esercenti privati e imprenditori)[5]. L’applicazione della circolare, ha riproposto un modello organizzativo per la prima accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati che già aveva trovato attuazione, con risultati quantomeno discutibili, in seguito alle due precedenti emergenze immigrazione affrontate in passato: l’eccezionale afflusso di centinaia di migliaia di albanesi sulle coste pugliesi dell’inizio degli anni ’90 e l’arrivo massiccio di profughi dal Nord-Africa del 2011, in seguito ai fatti delle “Primavere Arabe”[6].  Nella sostanza, si è optato nuovamente per il cosiddetto “doppio binario”, un’organizzazione dell’accoglienza che non si struttura sull’ampliamento della rete ordinaria già esistente – lo S.P.R.A.R. – ma che ne crea una ulteriore, gestita sui territori direttamente dalle articolazioni locali del governo centrale e molto più emergenziale rispetto al collaudato sistema del Ministero dell’Interno[7]. Se, tuttavia, tale regime di gestione ha effettivamente permesso alla prefetture di offrire sistemazione istantanea alle centinaia di profughi che hanno raggiunto l’Italia nei primi mesi del 2014, ha, contemporaneamente, posto problemi relativi alle condizioni in cui l’accoglienza è stata praticata. La stessa natura emergenziale degli interventi di affidamento dei servizi di ospitalità a enti gestori privati attraverso convezione ha, infatti, dato origine a soluzioni non propriamente efficaci ed efficienti, sia in termini economici, sia in termini di rispetto dei diritti dei beneficiari accolti. Si è solitamente prediletta la grande concentrazione in grosse strutture (alberghi in disuso, vecchie fabbriche riconvertite, ecc.) in cui il rischio di conflittualità tra singoli e gruppi è più elevato anche solo per ragioni di natura culturale; la gestione dei servizi di mediazione culturale, integrazione e tutela legale è solitamente più difficoltosa sui grossi numeri; l’erogazione degli stanziamenti monetari ai soggetti gestori (31,10 € pro die pro capite) è avvenuta generalmente senza la corresponsione di una rendicontazione analitica, con la conseguente corsa all’”oro nero” da parte di soggetti, in alcuni casi, interessati a logiche di speculazione economica e iper-profitto a danno del livello dei servizi offerti[8].

A oggi, il sistema del “doppio binario” è sopravvissuto ai tentativi di limitarne l’operatività[9] e i dati più aggiornati a disposizione parlano di 10.331 richiedenti asilo accolti nei C.A.R.A. Governativi (Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo), 28.514 persone nei CAS prefettizi[10], a fronte di 20.744 accolti nello S.P.R.A.R.[11]. La maggioranza dei richiedenti asilo e rifugiati in Italia è, dunque, accolta al di fuori del sistema ordinario del Ministero dell’Interno, in strutture a grossa concentrazione numerica (per lo più ex alberghi riconvertiti) e, in molti casi, attraverso modalità organizzative che non rispettano gli standard elevati di accoglienza, integrazione e tutela che la normativa sull’asilo, oltre che il normale rispetto dei diritti umani, imporrebbero in Italia e nella “civile Europa”.

 

La Basilicata dei doppi binari: quali le cifre, quali gli effetti, quali i possibili sviluppi

 

Hanno creato motivo di interesse le dichiarazioni del Governatore regionale Marcello Pittella – intervenute, tra l’altro, pochi giorni prima del naufragio di un barcone nel Canale di Sicilia dello scorso 18 aprile, in cui hanno perso la vita più di 700 migranti – sull’opportunità per la Basilicata di raddoppiare la capacità di accoglienza del territorio lucano, portandola dagli attuali 1.000 posti a disposizione ai 2.000 nei prossimi mesi. Al netto delle differenti reazioni a riguardo, esiste, a oggi, un generico progetto di conseguire il risultato attraverso l’accoglienza diffusa di piccoli nuclei collocati in tutti i 131 comuni lucani e la creazione di un hub regionale come struttura di prima ospitalità e smistamento verso i centri abitati[12].

In verità, tali propositi, sostanzialmente riassumibili nell’impegno a evitare grosse concentrazioni di persone in macro-strutture di accoglienza, sembrano mostrare una controversa possibilità di applicazione pratica proprio nell’annuncio, pure pronunciato dal Presidente della Giunta regionale, di voler procedere all’ampliamento delle capacità di ospitalità di tre grandi strutture – l’ex Cie di Palazzo San Gervasio, un complesso di proprietà della diocesi di Acerenza e la Città della Pace sita in territorio di Scanzano Jonico – le cui dimensioni non sembrano essere propriamente in linea con l’idea di realizzare una equa diffusione delle sistemazioni sull’intero territorio. Non risultano ancora noti, inoltre, eventuali provvedimenti tesi a limitare temporalmente la permanenza degli ospiti nell’hub regionale prima dell’invio nei comuni e, soprattutto, non è chiaro se le soluzioni immaginate dal Governatore sarebbero applicabili anche ai richiedenti asilo e rifugiati già presenti sul territorio lucano e attualmente accolti nei CAS.

Interrogativi simili diventano dirimenti relativamente alla riuscita effettiva di un piano di raddoppio delle capacità di accoglienza della Basilicata, poiché sui circa 1.000 richiedenti asilo e rifugiati attualmente presenti, circa 550 persone sono collocate in 14 diversi CAS[13], circa 450 persone sono inserite in 12 progetti territoriali appartenenti alla rete S.P.R.A.R.[14], mentre non sono attivi Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (C.A.R.A.) governativi sul territorio lucano. Una configurazione simile delle forme di ospitalità, oltre a comportare difficoltà nella stima di un fenomeno – quello dei transiti di profughi – già suscettibile di variazioni quantitative a seconda delle emergenze e degli arrivi, rappresenta la “tipica” riproposizione lucana del “doppio binario” praticato nel resto d’Italia.

A oggi, la maggioranza dei migranti richiedenti protezione internazionale presenti in Basilicata è accolta al di fuori dei canali ordinari e, circostanza più significativa, attraverso modalità non sempre corrispondenti alle prescrizioni dello S.P.R.A.R. In particolare, il dato più lampante risulta essere quello relativo alla concentrazione degli ospiti nelle strutture di accoglienza. In sostanziale contraddizione con quanto stabilito con la risoluzione della Conferenza Unificata Stato-Regioni del 10 luglio 2014[15] – che confermava gli standard del sistema S.P.R.A.R. come criteri a cui uniformare l’ospitalità dei profughi giunti in tutta Italia – le prefetture lucane hanno deciso di affidare la gestione dei CAS a soggetti del terzo settore e del privato sociale attraverso bandi pubblici con asta a ribasso, che individuavano come requisito necessario per l’aggiudicazione del servizio la disponibilità, da parte dei gestori aggiudicatari, di strutture di accoglienza di non meno di 20 posti[16]. La conseguenza naturale di tale soluzione è stata la creazione di Centri di Accoglienza Straordinaria che hanno prediletto, in termini organizzativi, la grande concentrazione in ex strutture alberghiere e, in alcuni casi, capannoni industriali riconvertiti, lontani dai centri abitati, all’interno dei quali risulta ancora da verificare la realizzazione di determinati standard di servizio in termini di rapporto operatori-ospiti, interventi finalizzati all’integrazione (corsi di alfabetizzazione alla lingua italiana; tirocini per la collocazione lavorativa, ecc.), consulenze relative alla tutele legale dei beneficiari.

Il binario dell’accoglienza dei CAS convive, non senza la confusione dovuta all’applicazione di prassi diverse nella gestione, con le circa 450 accoglienze che gli enti locali e i soggetti gestori coinvolti nella rete S.P.R.A.R. lucana continuano a realizzare attraverso i propri progetti territoriali. Tale convivenza di regimi diversi, oltre a generare confusione nella gestione materiale delle accoglienze, ha ricadute di ordine pratico anche sulla vita e sui destini dei beneficiari. In termini di permanenza all’interno delle strutture, ad esempio, si registra la differenza tra i richiedenti asilo accolti nello S.P.R.A.R., che in virtù del regolamento ministeriale devono abbandonare il progetto in caso di diniego avverso alla propria richiesta di protezione internazionale[17], e coloro che invece sono ospitati nei CAS, per cui non esiste un limite temporale per l’ospitalità, anche in caso di diniego.

Di fronte a una situazione siffatta, il progetto della Regione Basilicata, apprezzabile anche nel suo slancio solidaristico, rappresenterebbe una sicura risposta agli arrivi massicci di richiedenti asilo nel territorio lucano, che risultano facilmente prevedibili per il prossimo futuro. Nello specifico, a cinque anni dalle “emergenze” legate alle “primavere arabe” – origine temporale del sistema del “doppio binario” di accoglienza nonostante l’attuazione di un’estensione degli standard S.P.R.A.R. a piccoli nuclei di profughi, sperimentata allora dalla Provincia di Potenza – si cerca una soluzione organica e regionale per la gestione di un fenomeno che potrebbe avere, se considerato come un’opportunità, concrete ricadute positive sulle comunità locali, in termini occupazionali, economici, culturali e demografici. E in tal senso, anche il reale avvio dell’iter di discussione sulle proposte di legge in materia di immigrazione, richiedenti asilo e rifugiati, attualmente depositate in Consiglio Regionale[18], potrebbe fornire anche la cornice normativa ai percorsi potenzialmente virtuosi dell’accoglienza sul territorio lucano. Il rischio, tuttavia, è rappresentato, nell’ottica emergenziale con cui solitamente si procede a gestire l’accoglienza dei migranti, dalla possibilità che non si consideri il pregresso e si perseveri lungo i due “soliti binari”: l’accoglienza ordinaria dello S.P.R.A.R., che continuerebbe a prescindere dalle soluzioni adottate; il regime straordinario, sul quale graverebbe un’ulteriore difficoltà nel caso in cui non fossero superate le convenzioni prefettizie che attualmente mantengono i CAS in vita. La volontà encomiabile di realizzare un’accoglienza dignitosa per migliaia di persone, invece, impone che i due binari debbano convergere sulla strada dell’estensione, quantomeno sostanziale, a tutti gli accolti degli standard ordinari dello S.P.R.A.R.

[1] A oggi, non essendo stati ancora rilasciati dati elaborati e definitivi dal Ministero dell’Interno, si rimanda al recentissimo Centro Astalli – Rapporto 2015, maggio 2015, p. 4, che conferma il dato degli oltre 170.000 sbarcati nell’intero 2014 e stima il numero delle domande d’asilo a 69.204, il più alto mai registrato in Italia, anche se indicativo del fatto che la stragrande maggioranza di coloro che arrivano preferiscono proseguire il viaggio verso altri Paesi d’Europa.

[2] A oggi, sebbene risulti attendibile anche se non supportato da analisi scientifiche, il dato empirico dei 170.000 sbarcati nell’intero anno 2014, le uniche informazioni elaborate esistenti sono quelle contenute nel rapporto e sono aggiornate al 30 giugno 2014. Cfr. Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2014, a cura di Anci, Caritas Italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes, Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, in collaborazione con UNHCR, pp. 51-56, che evidenzia anche come la netta maggioranza dei viaggi di attraversamento del Mediterraneo, 335 su 405, seguano la direttrice Libia-Lampedusa (costa siciliana).

[3] I progetti territoriali dello S.P.R.A.R. sono di titolarità degli enti locali che ne hanno candidato la proposta alla

ripartizione del Fondo Nazionale per le Politiche e i Servizi per l’Asilo (FNPSA). Il singolo progetto territoriale, una

volta approvato e finanziato, è gestito, solitamente, mediante una convenzione per cui l’ente titolare affida i servizi di

accoglienza, integrazione e tutela a un ente gestore (cooperativa, organizzazione del terzo settore). Questo è il

destinatario finale dei finanziamenti, che è tenuto a utilizzare attraverso un analitico sistema di rendicontazione delle

spese, vincolato al rispetto di piano finanziario preventivo. In termini di servizi, il regolamento S.P.R.A.R. fissa livelli

inderogabili di prestazione, consistenti, ad esempio nel rapporto operatori-ospiti (mediamente 1 a 5), nella

predisposizione di un’équipe multidisciplinare composta da professionalità differenziate anche a seconda dei bisogni

degli ospiti, nella organizzazione degli spazi razionale e rispettosi della privacy dei beneficiari all’interno delle strutture

di accoglienza (di solito appartamenti per piccoli nuclei, forniti di area comune, arredi dignitosi, servizi adeguati).

[4] Il dato è relativo al sistema S.P.R.A.R. allargato, proprio in virtù dei massicci arrivi, rispetto ai posti messi a disposizione, dagli enti locali per il triennio 2014-2016, il Fondo Nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo (FNPSA), la cui ripartizione avviene attraverso un bando per l’assegnazione dei contributi, al quale concorrono enti locali presentando progetti territoriali di accoglienza. Per il dato sulla capacità ricettiva dello S.P.R.A.R. nel 2014, si veda Ivi, p. 104. Per la consultazione delle graduatorie si rimanda al link http://www1.interno.gov.it/mininterno/site/it/sezioni/servizi/bandi_gara/dip_liberta_civili/2014_29_01_Graduatoria_SPRAR.html

[5] Per un approfondimento sui CAS,  oltre alla consultazione dei dispositivi di legge, si rimanda al link  http://dirittiefrontiere.blogspot.it/2014/04/la-crisi-dei-cas-centri-di-accoglienza.html.

[6] Nel primo caso, l’emergenza fu gestita attraverso l’approvazione della legge n. 563/1995, la cosiddetta “legge Puglia”, che decretò l’apertura di strutture ricettive lungo la costa pugliese, finalizzate alla prima accoglienza dei migranti prevalentemente provenienti dall’Albania e dai Balcani. Nella sostanza, la stessa modalità fu riproposta con il D.P.C.M. Del 11 febbraio 2011, decreto che proclamava lo stato di emergenza straordinaria – la cosiddetta “Emergenza Nord-Africa” – per l’eccezionale afflusso di migranti in fuga attraverso il Mediterraneo dopi i fatti delle “primavere arabe”. Tale provvedimento attribuiva alla Protezione Civile ampia discrezionalità nell’organizzare un sistema di accoglienza mediante l’attribuzione diretta di finanziamenti a enti gestori privati per l’allestimento di strutture di accoglienza. Per un approfondimento sulla “legge Puglia” si rimanda a http://www.osservatoriomigranti.org/?detenzione-normativa-nazionale. Sull’Emergenza Nord-Africa e sui risultati della sua gestione, si vedano F. Vassallo Paleologo, Diritti sotto sequestro. Dall’emergenza umanitaria allo stato di eccezione, Aracne, Roma, 2012, passim e, di taglio più giornalistico, l’inchiesta di M. Sasso e F. Sironi, Chi specula sui profughi, pubblicata da L’Espresso nell’ottobre del 2012 e consultabile al link http://espresso.repubblica.it/attualita/cronaca/2012/10/15/news/chi-specula-sui-profughi-1.47304.

[7] In verità, esiste, in Italia, un ulteriore sistema di accoglienza dei richiedenti asilo: i Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (C.A.R.A.), strutture governative solitamente a grande concentrazione, che sono gestite, in molti casi, da soggetti privati.

[8] I procedimenti giudiziari che fanno riferimento al filone d’inchiesta comunemente noto come “Mafia capitale” fanno riferimento anche ai presunti iper-profitti realizzati da privati e società cooperative nella gestione non delle accoglienze nel Lazio.

[9] Si veda, ad esempio, il testo della risoluzione della Conferenza Unificata Stato-Regioni del 10 luglio 2014, a cui hanno partecipato anche l’Unione delle Province Italiane (UPI) e l’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI), che confermava «lo SPRAR come sistema unico di accoglienza delle persone richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale», si impegnava «ad aumentare in maniera congrua la capienza di posti nella rete dello SPRAR» e prevedeva la creazione di hub regionali di smistamento verso i progetti territoriali. Per la consultazione si rimanda al link: http://www.anci.it/Contenuti/Allegati/intesa%20piano%20nazionale%20flusso%20cittadini%20extracomunitari.PDF.

[10] Cfr. Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2014 cit., pp. 72-73, che presenta dati aggiornati al 25 agosto 2014.

 

[11] Ivi, p. 77. Il rapporto, che presenta dati relativi ai primi sei mesi del 2014, quantifica la capacità di accoglienza dello S.P.R.A.R. per quel periodo a 19.510 posti attivi, frutto della somma dei 13.020 posti assegnati attraverso il bando e 6.490 posti attivati in seguito ad ampliamenti progressivi dei progetti territoriali al 1 luglio 2014; il dato riportato nel testo (20.744) è frutto di un ulteriore ampliamento della rete, intervenuto alla data del 1 ottobre 2014 e, dunque, non riportato nel rapporto.

[12] A tal proposito, l’intesa Stato-Regioni del 10 luglio 2014 prevedeva «l’attivazione di Centri/Hub di livello regionale        e/o interregionale», al fine «di consentire il regolare ordinato afflusso verso il sistema S.P.R.A.R. delle persone     provenienti dalla fase di primo soccorso».

[13] Fonte: Prefettura di Potenza; Prefettura di Matera – Dati aggiornati al 6 maggio 2015. Cfr. anche Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2014 cit., p. 73.

[14] I dati riportati in Ivi, p. 125, aggiornati al 25 agosto 2014, parlano di una presenza totale – comprensiva cioè di accolti nei CAS e di accolti nella rete S.P.R.A.R.  – che ammonta a 566 presenze, pari al 0,097% dei 578.391 abitanti lucani e al 1,13% delle presenze sul territorio nazionale.  I progetti S.P.R.A.R. attivi sul territorio regionale sono 12: Potenza Provincia – Ordinari da 25 posti; Potenza Provincia Minori Stranieri Non Accompagnati da 10 posti; Latronico – Ordinari da 15 posti; San Chirico Raparo MSNA da 10 posti; Fardella – Ordinari da 15 posti; San Severino Lucano – Ordinari da 15 posti; Chiaromonte – Ordinari da 15 posti; Senise – Ordinari da 25 posti; Salandra – MSNA da 10 posti; Grottole – Ordinari da 15 posti; Matera – Ordinari da 30 posti; Nova Siri – Ordinari da 25 posti. Tale configurazione è riferita ai posti nei progetti territoriali lucani previsti dalla graduatoria iniziale, approvata dal Servizio Centrale del Ministero dell’Interno. Nel corso dell’anno sono intervenuti tre allargamenti della rete, che hanno portato la capacità complessiva degli S.P.R.A.R. lucani a circa 450 posti a disposizione.

 

[15] Si veda nota 9.

[16] A titolo esemplificativo, si veda l’ultimo bando della prefettura di Potenza, consultabile al link http://www.prefettura.it/FILES/allegatinews/1219/01%20BANDO_2015.pdf.

[17]    L’uscita dal progetto in caso di diniego avverso alla richiesta di protezione internazionale interviene anche in caso di ricorso del richiedente al Tribunale ordinario e riformula il regolamento ordinario S.P.R.A.R., che prevede una permanenza nei progetti di massimo 6 mesi, prorogabili di altri 6 in casi particolari (regime di cure specialistiche, vulnerabilità, ecc.).

[18]    A oggi, due proposte di legge sono depositate in Consiglio Regionale: una del Consiglio Provinciale di Potenza, l’altra della Giunta Regionale.